IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza sul ricorso n. 461 del 1991
 proposto da Manino Anna, Metalli Bianca  Maria,  Di  Fazio  Giovanna,
 Mazzi   Maria   Lorena,   Cinquegrano  Luigi,  Cinquegrano  Raffaele,
 rappresentati e difesi dall'avv. Giovanni Di Gioia,  nel  cui  studio
 elettivamente   domiciliati  in  Roma,  piazza  Mazzini,  27,  contro
 l'unita'  sanitaria  locale  RM/35,  in  persona  dell'amministratore
 straordinario  pro-tempore, per l'accertamento del diritto al computo
 dell'anzianita' convenzionale di cui all'art. 1 della  legge  n.  336
 del  1970  ai  fini della determinazione del trattamento economico, e
 per la condanna della U.S.L.  RM/35  al  pagamento  delle  differenze
 retributive   maggiorate   degli   interessi  e  della  rivalutazione
 monetaria;
    Visto il ricorso con i documenti allegati;
    Viste le memorie prodotte dai ricorrenti  e  tutti  gli  atti  del
 giudizio;
    Uditi,  nella  pubblica  udienza  del  26 aprile 1993, il relatore
 cons.  Marzio  Branca,  l'avv.  Gabriella  Federico  in  sostituzione
 dell'avv. Di Gioia per i ricorrenti;
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue;
                               F A T T O
    I  ricorrenti,  dipendenti  della  U.S.L.  RM/35 con qualifiche di
 direttore amministrativo e di  operatore  tecnico  (quarto  livello),
 appartenendo  alla  categoria  degli  ex  combattenti  ed equiparate,
 chiedono che venga dichiarato il  loro  diritto  alla  determinazione
 della retribuzione computando il beneficio dei due anni di anzianita'
 convenzionale  attribuito  dall'art.  1 della legge 24 maggio 1970 n.
 336.
    Al riguardo fanno rilevare che il  diritto  rivendicato  e'  stato
 affermato   in  modo  concorde  e  consolidato  dalla  giurisprudenza
 amministrativa. E' stato ritenuto infatti che l'anzianita' attribuita
 dalla legge predetta costituisce un diritto acquisito  al  patrimonio
 dell'interessato,  e  che  il divieto di applicazione per piu' di una
 volta dei benefici  combattentistici,  stabilito  dall'art.  3  della
 legge   9   ottobre  1971,  n.  824,  riguarda  solo  le  ipotesi  di
 modificazione della situazione di carriera e non  l'incremento  degli
 elementi  da  assumere  a base del calcolo della retribuzione secondo
 gli accordi collettivi di settore.
    Il sostanziale rifiuto dell'amministrazione intimata di  osservare
 l'incremento  degli  elementi  da  assumere  a base del calcolo della
 retribuzione secondo gli accordi collettivi di settore.
    Il sostanziale rifiuto dell'amministrazione intimata di  osservare
 il predetto insegnamento si porrebbe quindi in contrasto con l'art. 1
 della legge n. 336 del 1970.
    Successivamente alla proposizione del ricorso e' entrata in vigore
 la  legge  23  dicembre  1992,  n.  498, il cui art. 4, comma quinto,
 stabilisce che non si procede al computo  delle  maggiori  anzianita'
 previste  dalla  legge  n.  336  in  sede di successiva ricostruzione
 economica  prevista  da  disposizioni  di   carattere   generale.   I
 ricorrenti    fanno   rilevare   che   la   norma,   definendosi   di
 interpretazione  autentica,  e'   destinata   ad   essere   applicata
 retroattivamente  a rapporti sorti nel passato, ed infatti stabilisce
 che gli eventuali  maggiori  trattamenti  spettanti  o  in  godimento
 debbono   essere   riassorbiti.  Il  carattere  interpretativo  della
 disposizione, tuttavia, sarebbe da escludere,  potendovisi  rinvenire
 un  preciso  intento  innovativo,  legittimo  per  il  futuro  ma non
 conforme  ai  principi   costituzionali   se   esteso   al   passato.
 Risulterebbero  violati, infatti, gli artt. 3, 36, 52, 101, 103 e 104
 della Costituzione.
    Si chiede quindi che il tribunale, ritenuta la rilevanza e la  non
 manifesta  infondatezza  della  questione,  sospenda  il  giudizio  e
 rimetta gli atti alla Corte costituzionale.
    L'amministrazione intimata non si e' costituita  in  giudizio,  e,
 alla  pubblica  udienza del 26 aprile 1993 la causa veniva trattenuta
 in decisione.
                             D I R I T T O
    Il   ricorso,   tendente   all'accertamento   del   diritto   alla
 determinazione della retribuzione computando l'anzianita' di servizio
 attribuita  ai  pubblici  dipendenti ex combattenti dall'art. 1 della
 legge 24 maggio 1970, n. 336, e' fondato e potrebbe essere accolto.
    La  giurisprudenza  amministrativa,   infatti,   e'   concorde   e
 consolidata  (v., tra le decisioni piu' recenti, Cons. St. sez. VI n.
 388 del 1990, n. 342 del 1991, n. 152  del  1993)  nel  ritenere  che
 l'anzianita'  di  servizio attribuita agli ex combattenti dalla legge
 n. 336 del 1970 non differisce da  quella  che  deriva  dal  servizio
 effettivamente  prestato,  e  mantiene intatta la sua validita' anche
 nel computo dei trattamenti retributivi spettanti ai  dipendenti  per
 effetto  di  inquadramenti  in  nuovi  livelli  stipendiali  in  base
 all'anzianita' pregressa, in attuazione degli  accordi  nazionali  di
 lavoro.
    La  decisione  favorevole  ai ricorrenti, tuttavia non puo' essere
 adottata, ostandovi il disposto  dell'art.  4,  quinto  comma,  della
 legge  23  dicembre 1992, n. 498, secondo cui l'art. 1 della legge n.
 336 del 1970 "va interpretato nel senso che  ..  non  si  procede  al
 computo  delle maggiori anzianita' ivi previste in sede di successiva
 ricostruzione  economica  prevista  da  disposizioni   di   carattere
 generale",  disponendosi  altresi'  il  riassorbimento  dei  maggiori
 trattamenti spettanti o in godimento.
    Della norma anzidetta i ricorrenti hanno  sollevato  eccezione  di
 illegittimita' costituzionale, per contrasto con gli artt. 3, 36, 52,
 101,   103   e  104  della  Costituzione,  osservando  che  l'intento
 interpretativo  dichiarato  non  e'   sostenuto   da   alcun   valido
 presupposto,  ed  ha il solo scopo di conferire retroattivita' ad una
 disposizione innovativa. Ma l'applicazione della nuova  disciplina  a
 rapporti anteriori, regolati da una diversa normativa, determinerebbe
 una  illegittima disparita' di trattamento, in violazione degli artt.
 3 e 36 della Costituzione, nonche' una invasione  delle  attribuzioni
 degli organi giudiziari in materia di interpretazione della legge, in
 violazione degli artt. da 101 a 104 della Costituzione.
    Ritiene  il  collegio che la questione, sicuramente rilevante come
 emerge  dalle  considerazioni  suesposte,  non   sia   manifestamente
 infondata, limitatamente al denunciato contrasto con gli artt. 3 e 36
 della Costituzione.
    E'  sufficiente  ricordare,  in  proposito,  la sentenza n. 39 del
 1993, con la quale la Corte costituzionale, giudicando di  una  norma
 di struttura e di finalita' in tutto simile all'art. 4, quinto comma,
 della  legge  23  dicembre  1992,  n.  498, da applicare nel presente
 giudizio,  ne  ha negato la natura interpretativa, e ne ha dichiarato
 illegittima la portata innovativa con effetto retroattivo.
    "La nuova disposizione - ha affermato la Corte -  incidendo  sulle
 situazioni  sostanziali  poste  in  essere  nella  vigenza  di quella
 precedente, frustra l'affidamento di una vasta categoria di cittadini
 nella sicurezza giuridica che costituisce elemento fondamentale dello
 Stato di diritto (sentenze nn. 349/1985, 822/1988 e 155/1990)".
    Ne' la finalita' della contrazione della  spesa  pubblica  sottesa
 alla  disposizione  in  esame  -  prosegue  la  Corte  -  e'  ragione
 sufficiente a giustificare le  evidenziate  violazioni  dei  suddetti
 precetti costituzionali".
    La   chiarezza   di   tali  proposizioni  esime  il  collegio  dal
 diffondersi in argomentazioni ulteriori.
    Anche  nella  presente  fattispecie  l'applicazione  della   norma
 denunciata    determinerebbe   una   ingiustificata   disparita'   di
 trattamento tra dipendenti trovantisi nella stessa condizione  di  ex
 combattenti ed equiparati, accordando ad alcuni e negando ad altri il
 beneficio collegato esclusivamente alla appartenenza alla categoria.
    Ne'  l'illegittimita'  puo'  considerarsi sanata per effetto della
 seconda parte della disposizione, che  stabilisce  il  riassorbimento
 dei  maggiori  trattamenti  in godimento, posto che il ristabilimento
 della situazione di eguaglianza potra' prodursi solo in  un  arco  di
 tempo di ampiezza incerta e comunque consistente, cosi' da perpetuare
 di fatto la disparita' di trattamento.
    Deve   dunque   disporsi  la  remissione  degli  atti  alla  Corte
 costituzionale e la sospensione del giudizio.